24 ore per decreto

Sembra confermata l’intenzione del Governo di aumentare l’orario di servizio degli insegnanti, senza mutarne lo stipendio, con gravi conseguenze a catena anche per i precari.

Saremo banali, ma…
Questa è la prima volta, dopo il fascismo, in cui si abbassano le paghe o si alzano le ore a parità di stipendio.
Forse è difficile fare accettare al nostro prossimo che questi signori in cravatta siano fascisti, ma può giovare il ricordare il paragone.
Fascisti senza camicia nera. O meglio, gli stessi banchieri che controllarono il fascismo.
E poi dicono che il modello ispiratore è il tedesco, con paghe di molto superiori…

Qualche citazione per chi ne ha bisogno. In corsivo il testo che le contestualizza.

1) Ottobre 1927 – A seguito della prima fase della crisi internazionale che sarebbe maturata nel crac del 1929, v’era stato un generale ribasso dei prezzi internazionali e dei prezzi d’importazione per l’Italia che aveva visto svalutarsi la sua moneta. Tutto doveva ribassare acciocché ogni elemento del costo si adeguasse alla nuova base monetaria. Ma chi doveva ribassare per primo? Qui stava la questione. Dovevano industriali e commercianti accontentarsi di prezzi minori e avviare il costo della vita ad una netta diminuzione prima di ridurre le paghe, oppure dovevano innanzi tutto esser decurtate le paghe e gli stipendi? Risponde Volpi [di Misurata, NdR]: “Nuovi sacrifici abbiamo chiesto alla burocrazia e ai salariati. E’ la legge fatale: quelli che erano i più organizzati, i più controllabili, i più identificabili sono stati i primi colpiti, ma la mano del Governo arriverà a tutti (sic)”. Era fatale dunque colpire anzitutto i salari: questo del resto corrispondeva ad un canone tradizionale nello sviluppo del capitalismo italiano. Si ridusse il caro vita agli impiegati e con un accordo interconfederale dell’autunno 1927 si operò una generale decurtazione dei salari.

2) Novembre 1930 – Ancora i prezzi non riprendono a salire. Il costo della vita tende a diminuire, è giusto perciò che le paghe “si adeguino”. Considerazioni analoghe a queste di Mortara vengono ampiamente svolte in un memoriale redatto nell’autunno del 1930 della Confindustria. Memoriale che costituirà poi il nerbo della relazione della Giunta del bilancio (di cui fu appunto estensore l’onorevole Olivetti, segretario generale della Confindustria e nel tempo stesso relatore della Giunta) per trasformarsi quindi nel provvedimento del novembre 1930 che ridusse del 12% gli stipendi e le paghe.

3) Triennio 1930-1933 – Le corporazioni rappresenteranno il più efficace degli strumenti di cui si serviranno  i grandi gruppi monopolistici per sollecitare e dirigere l’intervento dello Stato nel senso voluto dai loro interessi […] l’intervento dello Stato trova modo di dispiegarsi ampiamente durante gli anni 1930-33 nelle consuete forme: riduzioni salariali…

4) Febbraio 1934  – Si profilano nuove  e più ingenti occasioni di spese nel campo del sostegno dell’economia nazionale (interventi, ecc.), in quello della difesa (riarmo delle colonie) e in quello ferroviario (deficit delle Ferrovie dello Stato). Urge perciò resecare altre spese. Anche questa volta, come nel 1930, si pensa ad una generale decurtazione delle paghe. […] Una volta decurtato il reddito dei rentiers, portatori di titoli di Stato, risulta più agevole giustificare la nuova generale decurtazione degli stipendi e delle paghe, ridotte questa volta del 12%. Sulla base dell’indice dei prezzi all’ingrosso aggirantesi intorno a 280 (base 1913  = 100) viene sancito il nuovo rapporto 1 : 3 come base definitiva di riferimento per adeguare intorno a un comune denominatore costi e ricavi.

5) Febbraio 1936 – L’andamento dell’industria è caratterizzato in questo periodo dal contrasto tra il tono sostenuto delle industrie connesse con la guerra e il tono depresso delle attività connesse con in consumi civili. […] Tenuto conto dell’aumento del numero degli operai occupati, avvenuto in conseguenza delle quaranta ore e dell’ammasso della produzione (l’indice della produzione del 1932 è salito a 100 nel 1935-36) – aumento certamente supriore al 10% – è d’uopo concludere che il reddito individuale, non solo quello reale ma anche quello nominale, si è nel frattempo ridotto.

6) Marzo 1939 – L’aumento del costo della vita fu, malgrado il riconfermato blocco, talmente evidente che nel marzo 1939 un generale adeguamento dei salari, fermi da due anni, fu ritenuto improrogabile. Le paghe furono aumentate dell’8% (o 6,50%) nell’agricoltura e del 10% nell’industria. Gli stipendi degli statali dell’8%. Anche questa volta, come nell’aprile 1937 trattavasi di una parziale perequazione operata “a posteriori”, accompagnata peraltro dalla maggiorazione dei contributi assicurativi che assorbirono in gran parte i conseguiti aumenti.
Nel giugno  1934 (rilevazione della Confederazione industriale) l’operaio dell’industria lavorava in media 175 ore al mese e percepiva una mercede oraria di lire 1,81, cioè un salario mensile di lire 316,75; nell’ottobre 1938 faceva 160 ore e percepiva 2,27 lire all’ora, perciò 363,20 lire al mese.
Il salario nominale era cioè passato da 100 a 114. Ma nel contempo il costo della vita era salito da 73,6 a 98, cioè da 100 a 133,3. Quindi la mercede reale da 100 si era ridotta a 83. Contrazione del 15% compensata in parte dal decretato aumento dell’8%.
Il fondo salari valutato (Sole, 14 marzo 1939) a complessivi miliardi 22,8 (agricoltura 4, industria 15, commmercio 2,8, credito 1) saliva così a 24,6 miliardi (più 1,8).
Contemporaneamente, per la nuova legge sulle assicurazioni sociali, il contributo settimanale per le retribuzioni superiori a lire 156 veniva portato da lire 5,05 a lire 18,20.

6) Novembre 1939 – L’aumento della produzione non si accompagnò ad un proporzionale aumento del numero degli operai occupati (intensificazione del ritmo lavorativo: dal 1928 al 1934, nell’industria tessile, a parità di produzione, il 25% in meno di operai) […] ll prolungamento della giornata lavorativa da quaranta a quarantotto ore ed oltre (accordo interconfederale del 15 novembre 1939) si accompagnava alla riduzione delle percentuali di maggiorazione delle ore supplementari. Pertanto, tutto sommato il reddito degli operai, concretizzato nel reddito reale familiare era evidentemente diminuito, malgrado l’aumento degli assegni familiari, la cinquantetreesima settimana e le cinque feste pagate.
Sintomatici, del resto, i dati sui consumi: diminuzione del consumo di carne, dei grassi, del formaggio…

Fonte: Pietro Grifone, Il Capitale Finanziario in Italia, Einaudi, 1945.